GABINETTO D’AMORE

L’ombra del desiderio

Il gabinetto del trionfo d’Amore è una delle numerose stanze dedicate a Giacinta. Il Palazzo sembra sempre più somigliare a un tempio dedicato ai temi classici e alla consorte del Conte.

Questa piccola saletta è un boudoir, un ambiente dedicato alle donne e alla cura di sé, una stanza tipica delle dimore francesi, e il Conte voleva averne una anche nel suo Palazzo.

Giani in questa sala ha dato libero sfogo alla sua creatività operando sulle pareti con soluzioni artificiali: la stanza ha otto pareti i cui spigoli sono costruiti con l’uso di finte pareti, come succede anche nel Tempio di Apollo. L’artista gioca nuovamente di astuzia e illude i visitatori: simula l’aspetto di quadri appesi alle pareti incorniciando e mettendo sotto vetro i riquadri dedicati ad Amore. È tutta un’illusione ottica: “i finti quadri” sono parte integrante dell’apparato decorativo. Le finte architetture sulle pareti sono realizzate da Giani prendendo a modello le decorazioni del quarto stile pompeiano che studia direttamente dall’antico nei suoi viaggi tra Roma e Napoli. A quel tempo, lo stile pompeiano è molto alla moda e il Conte desidera seguire il gusto della sua epoca.

Nei finti quadri sono raffigurati episodi celebri di amori di dèi e fanciulle, molti dei quali presi dalle Metamorfosi di Ovidio. Giani conosce bene il testo dell’autore latino e tanti altri libri dei classici in circolazione al tempo. Gli episodi raffigurati sono il ratto di Proserpina e quello di Europa. Proserpina, figlia di Cerere, la divinità dell’agricoltura, viene rapita da suo zio nonché signore degli Inferi, Plutone. Europa, la ragazza “dai larghi occhi”, è ingannata e rapita da Giove che nelle sembianze di un toro bianco la porta in groppa lungo tutto il Mediterraneo. Sono secoli che gli artisti raffigurano queste storie.
E poi ancora: Apollo e Dafne, Diana e Endimione, Giove e Leda. Il desiderio muove le fila di queste storie e a completare il tutto sul soffitto troviamo il Trionfo d’Amore ispirato dalla poesia di Petrarca.

Questa sala è l’ultima in cui Giani e la sua bottega lavorano, e il Conte per omaggiare la grande opera del Giani chiede di inserire a fianco dello stemma di famiglia la data di fine lavori. È il 1805.

Giacinta è una giovanissima diciassettenne quando il Conte le presenta questo Palazzo come la loro dimora di famiglia, e così descrive la prima volta che lo vede:

…sono ammirata ed emozionata davanti a tanta bellezza e alle altissime idee che mi sono state dedicate, ma anch’io ho i miei sogni e, se mi è concesso, le mie ambizioni. Lei, mio caro marito, sarà spesso in viaggio e io mi ritroverei sola, senza famiglia ed amici in una città per me estranea. A Bologna io sono cresciuta e qui vorrei avviare un salotto dove accogliere persone di cultura, scrittori, musicisti, intellettuali…

A Bologna Giacinta ha relazioni con la famiglia Buonaparte, coltiva amicizie del calibro di Leopardi e Rossini. Qui incontra nuovamente il suo amico d’infanzia Gianmaria Mastai, il futuro papa Pio IX. Sulla base di alcune lettere qualcuno allude che tra il futuro papa e Giacinta ci sia un segreto, intimo rapporto d’amore, ma probabilmente si trattava solo di affetto fraterno.